Dracula, Agente di Viaggio per i Tempi Nostri

Dracula, Agente di Viaggio per i Tempi Nostri … Recensione di Alan Jones

“ I vampiri arrivano al crepuscolo … ecco il gotico che piace a Obama”


( Corriere della Sera, febbraio 2009)

Dracula, Agente di Viaggio per i Tempi Nostri

In ogni epoca della storia sono stati gli artisti a lasciare dietro di loro la migliore testimonianza. Per leggere la condizione umana di un luogo, specifico e un tempo specifico, lontano del nostro. L’oggetto d’arte costituisce l’indicatore il più autorevole e il più accessibile della storia rivelata. Tramite preoccupazioni, aspirazione, superstizioni, dogma e paure, fobie, miti e ossessioni, sogni e incubi. Prima di Sigmund Freud c’erano i Fratelli Grimm. Prima di Star Wars, Gilgamesh. Se un opera d’arte diventa spesso l’unico ricordo di una società scomparsa, è anche sempre il più affidabile, il più risonante. Dall’Acropoli a Disneyland. Dalla Venere di Milo alla donna di Bottero. Dalla Gioconda alla Marilyn di Warhol. Da Versailles a Las Vegas.

Il tangibile artefatto rivela la storia della tribù.

Certi esperti dell’economia credono che lo spessore della linea nella pittura corrisponde come indicatore alla tassa d’interessa bancaria di un’epoca. L’antropologo può ugualmente leggere dai movimenti di una danza primitiva il carattere di una società… : Nomadi o sedentari, cacciatori o agricoli, monarchici o matriarcale, animisti o monoteisti. Qualsiasi bambino può vedere subito che le preoccupazioni della società in cui viveva Bruegel erano ben diversi da quelle di Botticelli. L’impresa artistica di Amira Munteanu, che spesso prende la pittura come forma d’espressione principale ma senza escludere scultura e assemblage e neanche performance, si rivela a noi come la testimonianza di un’esperienza personale, seppur in modo allegorico, in risposta alla società in cui ha vissuto e in cui vive oggi; la sua e dunque un’impresa alla volta personale.

Ma anche politica nel senso più largo della parola.

Dracula, Agente di Viaggio per i Tempi Nostri

Il dramma dell’arte moderna si svolgeva davanti ad una retroscena di conflitti ideologici di proporzioni globale, una guerra d’idea su una scala mondiale, soprattutto tra due dogma basati ugualmente su concetti utopistici, due divergente risposte sulla questione di come meglio organizzare la vita dell’uomo, due filosofie opposte, il Marxismo totalitario da una parte e la democrazia liberale dall’altra. Attraverso il Ventesimo secolo questo dibattito internazionale premeva in modo profondo ogni atto artistico, ogni decisione estetica in ambidue lati del Muro: libertà d’espressione o dovere di sommettere l’arte nel servizio del popolo; astrazione o figurazione; l’art pour l’art o a scopo collettivo; lirismo personale o materialismo dialettico; giocatolo mentale o agitprop utilitario; l’ispirazione spirituale o propaganda igienica dello Stato ?

Nessun capo lavoro venuto al luce del giorno durante questa lunga epoca, dalla Guerrnica di Picasso al Aspettando Godot di Beckett, è stata risparmiata dalle regole del gioco di questa gara ideologica. La linea d’ombra era scritta con precisione con il filo spinato e, come all’epoca del scisma Protestante, prendere una tessera o l’altra era obbligatorio.

Amira Munteanu ha avuta l’illuminante se non interamente invidiabile privilegio di poter condurre la sua vita creatività in tutti due di questi laboratori, di aver vissuta sotto ambidue bandiere, prima in Romania e dopo in Italia: dall’Euro-Maoismo viscerale di Ceauscescu alla società permissiva di Europa dell’Ovest, dal Patto di Varsavia al NATO, dal Realismo Sociale al Pop. Dal comunismo al consumismo.

Il collasso dell’Unione Sovietica e le onde successive di libertà che correvano attraverso i paesi che hanno conosciuto la schiavitù per mezzo secolo portavano nuove dilemme da gestire, circostanze sconosciute fin’ora per ogni artista preso da questo corrente storico.

Amira Munteanu ha portato via da questo naufragio una rara ricchezza nella forma di una completa conoscenza tecnica grazie all’Accademia delle Belle Arti di Bucharest. Ora però doveva affrontare la sfida di fare l’arte in circostanze nuove, con nuove libertà ma anche nuove forme di conformismo contraddittorie, proprio come un artista che torna all’atelier il giorno dopo che l’Imperatore Costantino ha firmato il suo storico decreto: all’improvviso l’artista si trova davanti alla necessità di applicare la vecchia pratica della sua mano ad un nuovo mondo iconografico.

Non è un caso che Amira Munteanu, in questo momento decisivo, si è rivolta alla satira, alla iconografia degradata del vampirismo, del mito fiabesco di Dracula, per dipingere un’intera seria di quadri pieni di succhi sangue, zombi, pipistrelli e cosi via. Il Conte Dracula, après tout, era ugualmente al suo agio nella nebbia della sua nativa Transilvania come sotto le stelle della sua ultima città d’addozione, Hollywood. (Il suo peggiore soggiorno era in Scandinavia durante l’estate: venti’quattro ore di sole per giorno …)

Nello stesso tempo, Dracula, l’illustre luogo comune e icone Pop universale, era purtroppo una delle pochi figure di Romania riconoscibile in un mondo dove Constantin Brancusi, Tristan Tzara, Victor Brauner, Lucian Blaga, Eugen Ionescu, Nicolae Iorga o Emil Cioran e Mircea Eliade non erano neanche visti come romeni ma considerati sopratutto Parigini. Un altro fattore nella scelta della pittrice era la strepitosa aura di decadenza morale del mito stesso, qualcosa al di là del Nichilismo, che già ha toccato il fondo nel Ottocento, trovando altri nervi da toccare cent’anni dopo, nella persona di Bela Lugosi negli anni Venti o Roman Polanski negli anni Settanta.

Il povero Dracula e i suoi corrotti vampiri erano anche protagonisti di un cambiamento di régime:

Dracula era membro sopravissuto dell’ancien régime facendo il suo migliore di aggiustarsi, dopo il diluvio, ad un nuovo ordine sociale, proprio come il suo patetico confrère, il Marchese de Sade: dandy, egoista, impotente, autocratico, reazionario. Un Marxista può essere reazionario con la stessa facilità di un aristocratico. Malgrado se stesso, Dracula era un intellettuale altrettanto deluso di Deleuze, un po’ come gli duri e puri gauchistes di caviale al café de Flore a Parigi. Possibile, infatti, che Dracula non era nessun’altro che il ‘’doppelganger’’ di Ceauscescu stesso? (Oppure Reagan, o Berlusconi? Sarkosy, o Prodi? Pippo Baudo, o Dario Fo? Ognuno di questi personaggi farebbero un Dracula come si deve sul schermo del cinema..).

“Con la mia arte, dice la pittrice, rivendico la serietà delle cose frivole e l’ironia delle cose serie”. Al di là del bene e male, come li piaceva dire a Federico (Nietzsche), il sacro e il profano, virtù e vizio, innocenza e perversità, il pericolo della satira sociale in se, attraverso l’iconografia degrada come accuso contra la società, è il rischio di una lettura banale in cui viene scambiato come una celebrazione del culto del brutto invece come condanno: come ragazzi che vanno a Luna Park o a vedere un film d’orrore per sentire un mero brivido erotico invece di intraprendere un itinerario di trascendenza metafisica. (Perciò sono sempre stati in molti ad amare l’Inferno dantesco più del Paradiso.) Come diceva Walter Savage Landor: “Non dobbiamo cadere nell’indulgenza di visioni sfavorevole all’umanità, perché faccendo così diamo ai cattivi la possibilità di considerasi non peggio degli altri, ed insegniamo ai buoni di pensare che sono buoni in vano.” Il grottesco di Bosch o di Magnasco, il degrado di Georg Grosz, l’angoscia di Edward Munch,l’incongruo del sublime Clovis Trouille, la patologia di Kienholz o Bouregois, vengono apprezzati troppo spesso per il brivido di morbosità come un prodotto farmaceutico abusato come sfogo invece di cura.

(Attenzione:/ Leggete le informazioni prima dell’uso, e tenere fuori dalla vista e dalla portata dei bambini./)

Il “bateau ivre” di Amira Muneanu invece naviga in una missione di purezza sopra le acque contaminate della nostra epoca. Spesso la facciata di una cattedrale gotica è coperta di una densa accumulazione di visioni oscene e grottesche, in modo di stabilire la precisa limita tra il male al di fuori e il sacro che ha dimora dentro. Merita da notare che da quando si è concentrata sul soggetto del vampirismo come metafora, Amira è imbarcata su una nuova serie di quadri meticolosamente ricercati sul Vecchio Testamento, cosi come fece Dante stesso che ci portò dal abisso verso reami sempre più elevati dello spirito. L’Occidente, nei tempi nostri, passando per fatale passo dal totalitario al burocratico, dalla repressione alla indifferenza passiva, si è tagliato fuori da ogni mito collettivo salvo, forse, un nichilismo fanta-scientifico, una visione riduttiva di un’entropia inevitabilmente apocalittico.

Questi quadri di Amira Munteanu sono come segnali stradali lungo questo tunnel oscuro. Ed è da sperare che usciremo, a vedere le stelle.

Alan Jones , Milano 2009

Mostra d’arte e performance , Wannabee Gallery Milano, inaugurazione 17 febbraio 2009

amira munteanu & xena zupanic

Nota del blog

Alan Jones, newyorkese, scrittore,critico e curatore di mostre d’arte, è da sempre uno dei massimi conoscitori della scena della Pop Art. E’ stato tra gli amici personali di Leo Castelli, a lui ha dedicato un libro presentato a Roma nel 2007 presso la Galleria nazionale d’arte moderna, il libro “Leo Castelli. L’italiano che inventò l’arte in America” di Alan Jones (Castelvecchi Editore). Intervenuti alla presentazione Francesco Rutelli, Ministro per i Beni e le Attività Culturali – Maria Vittoria Marini Clarelli, Soprintendente alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea; Achille Bonito Oliva, critico d’arte; Joseph Kosuth,artista; Alan Jones-critico d’arte.

A cento anni dalla nascita di Leo Castelli, Alan Jones ripercorre con passione e precisione la vita professionale e sentimentale del più grande gallerista di tutti i tempi. Con lo straordinario intuito del mercante d’arte Leo Castelli, origine triestina, scopre e valorizza, negli Stati Uniti, gli espressionisti astratti dell’Action Painting, pittori del calibro di Jackson Pollock e Willem de Kooning, i neodadaisti Robert Rauschenberg e Jasper Johns, i protagonisti della Pop Art, oltre che Frank Stella e Cy Twombly. Ma non solo. Quando nel’62 Leo Castelli presenta nella sua galleria al 420 West Broadway le tele a fumetti di Roy Lichtenstein, New York rimane stupefatta e vagamente disgustata. Ma in breve tempo dovrà riconoscere che la proposta di quel minuto gallerista cambierà il corso dell’arte contemporanea. Leo Castelli ha saputo infatti intuire le potenzialità creative e innovative di un gruppo di giovani artisti, imponendoli al mondo intero e aprendo le porte di New York alle successive generazioni di galleristi. Leo Castelli nasce a Trieste il 4 settembre 1907. Il suo vero nome era Leo Krauss. Dopo la laurea in legge si trasferisce a Parigi, a cui è legato il suo esordio come gallerista. Con il dilagare della seconda guerra mondiale si rifugia a New York che lo consacra come uno dei più prestigiosi galleristi del panorama mondiale. Muore a 91 anni nella sua città d’adozione.

ALAN JONES è curatore, organizzatore di mostre presso musei e gallerie di primaria importanza: la Fondazione Cartier a Parigi, il Museo Guggenheim a New York, il Walzer Art Center di Minneapolis, il List Center di M.I.T. ad Harvard, Massachusetts, il P.S.1 del Museo d’Arte Moderna di New York, il New Museum, lo Studio Museum di Harlem, e il Museum for African Art.

Nella foto Alan Jones nello studio di Amira

Amira & Alan Jones , 2008

Alan Jones, Milano 2008

Amira in una foto di Alan Jones

da sinistra a destra : Alan Jones (critico d’arte), Stefano Civati (mercante d’arte), Amira (artista) , Dumitru Dinu (Consule Generale della Romania) , Milano 2008

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